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Published on: Convegni e docenze

Paolo Scaroni, AD Eni, al Circolo delle Idee della LIUC

Paolo Scaroni, AD Eni, al Circolo delle Idee della LIUC (2013)

Alla LIUC – Università Cattaneo si è tenuto il 4 giugno 2013 il terzo incontro del “Circolo delle Idee”: l’iniziativa – che ha visto intervenire nei primi due appuntamenti Luca Cordero di Montezemolo e Luigi Abete –  prevede una serie di incontri esclusivi con autorevoli relatori. Un autentico “pensatoio” per raccogliere idee, energie, propositi.  Protagonista della serata è stato Paolo Scaroni, Amministratore Delegato di Eni: titolo dell’intervento, “Energia: sfide tecnologiche e dinamica dei prezzi” Giorgio Ghiringhelli, in qualità di docente esterno della LIUC del corso di Energy Manager – 5° anno di Ingegneria Gestionale, ha posto una domanda al Dott. Scaroni in merito all’interesse di ENI per le energie rinnovabili, con particolare riferimento al biometano producibile dai rifiuti organici.

Ghiringhelli-Scaroni01Ghiringhelli-Scaroni04Trasmettiamo di seguito – alla luce del particolare interesse del tema – una sintesi ricavata dall’intervento di Paolo Scaroni.  “La rivoluzione dello shale gas”, ha spiegato l’AD di Eni Paolo Scaroni, “sta cambiando l’economia mondiale”.  Lo shale gas, per spiegare, è metano intrappolato nei micro pori dell’argilla, che si estrae utilizzando tecniche di perforazione orizzontale e iniettando acqua ad alta pressione che, miscelata a sabbia e polimeri, viene pompata con forza contro le argille e le frattura, consentendo che il gas contenuto venga in superficie.   “Gli Stati Uniti”, ha spiegato l’AD di Eni “che si stavano attrezzando per importare gas, in particolare dall’Africa, grazie alla possibilità di sfruttare lo shale gas non solo non ne importeranno, ma si pensa addirittura che ne diventeranno esportatori”.  “Quello che è impressionante”, ha proseguito Scaroni, “è che a seguito dello sfruttamento dello shale gas, i prezzi del gas negli Usa hanno raggiunto livelli bassissimi e i prezzi dell’energia elettrica, che viene largamente prodotta da gas, ne seguono l’andamento”. “In Europa”, ha specificato Scaroni, “ il prezzo del gas per l’industria è oltre 3 volte più alto quello degli Stati Uniti, mentre il prezzo dell’elettricità è maggiore di oltre 2 volte. Dunque noi ci troviamo ad avere il principale concorrente mondiale per l’industria, gli Stati Uniti, che dispone di energia a un prezzo che è una frazione di quello che pagano le nostre aziende”.  “La prima conseguenza di tutto questo”, spiega l’AD di Eni, “è che gli Stati Uniti stanno vivendo un nuovo rinascimento industriale, poiché tutti coloro che intendono fare un investimento energy intensive vanno negli Stati Uniti, dove possono beneficiare del basso costo dell’energia”.

“Quanto poi alla disponibilità di fattori in grado di attirare gli investimenti”, ha poi spiegato Scaroni, “gli Stati Uniti sono campioni mondiali”. Oltre a beneficiare di un basso costo dell’energia, infatti, l’AD di Eni ha ricordato come gli Stati Uniti siano il mercato più grande del mondo e dispongano di management di grande qualità, manodopera qualificata meno cara di quella europea e con una flessibilità sconosciuta in Europa, un sistema legislativo di leggi, regole e regolamenti molto più business friendly di quanto sia in Europa. “Dato che viviamo in un’epoca in cui le tecnologie, i capitali e l’imprenditorialità si spostano dove più conviene”, ha ribadito Scaroni, “quello che sta avvenendo è che gli Usa stanno vivendo un incredibile processo di reindustrializzazione”. Si calcola che lo shale gas ha aumentato il Pil americano dell’1% all’anno nel 2011 e 2012, e nel 2013 si pensa che contribuirà all’aumento del Pil dell’1,5%.  Guardando alle prospettive europee, ci si chiede se a un certo punto anche l’Europa potrà avere i prezzi del gas americani.  “E’ una domanda legittima”, spiega l’AD di Eni “tanto più che il Presidente Obama qualche settimana fa ha autorizzato la costruzione dei primi impianti di liquefazione del gas”, pensati appunto per liquefare il gas americano ed esportare lo shale gas.  “È vero che le riserve americane di shale gas hanno una durata praticamente infinita se rapportata ai nostri fini, ed è vero quindi che gli Stati Uniti potranno esportarlo”, ha specificato Scaroni, “ma è anche vero che più si esporterà più cresceranno i prezzi americani, dato che diminuirebbe la concorrenza sul mercato interno”. “Ma”, sottolinea l’AD di Eni “anche ipotizzando lo scenario più favorevole, e cioè che gli Usa esportino il loro shale gas verso il resto del mondo e in particolare in Europa, nella migliore delle ipotesi i nostri prezzi del gas rimarranno comunque più elevati di quelli americani e quelli dell’elettricità seguiranno lo stesso andamento”. Per essere trasportato in Europa, infatti, il gas americano deve essere liquefatto, caricato su una nave e rigassificato a destinazione. Questo significa, appunto, che quando questo gas dovesse arrivare in Europa costerebbe comunque circa il doppio rispetto a quanto le aziende lo pagano negli Stati Uniti.  “Questo scenario è un campanello d’allarme preoccupante”, dice Scaroni. “A livello europeo si parla di occupazione giovanile come priorità, ma prima di fare questo dobbiamo risolvere i problemi che impediscono di crearla, questa occupazione. Come pensiamo di poter creare occupazione giovanile in un continente dove l’energia costa il triplo rispetto agli Usa, dove la manodopera costa di più e dove ci sono tasse più elevate? È ovvio che capitali, imprenditorialità e tecnologie vanno dove conviene di più”.   L’AD di Eni ha voluto dare anche segnali positivi in ambito energetico. “Lo shale gas c’è anche in Europa. Dobbiamo quindi fare quello che fanno gli americani, anche se non è semplice, per diverse ragioni. La prima”, ha spiegato Scaroni, “è che l’Europa è molto più antropizzata degli Usa (in Europa mediamente ci sono 100 persone per chilometro quadrato contro le 30 degli Usa) e l’attività di estrazione dello shale gas per sua natura non è compatibile con aree così densamente popolate. Però in Europa ci sono anche zone meno popolate, e la prima cosa che dobbiamo fare è individuare aree adatte dove potere sviluppare questa attività di esplorazione e produzione”. “La seconda ragione”, ha concluso Scaroni, “è che gli Stati Uniti sono l’unico paese al mondo dove chi è padrone del terreno è padrone anche di quello che è nel sottosuolo. In Europa e nel resto del mondo non è così, il proprietario del terreno è un soggetto, mentre il proprietario del sottosuolo è il governo”.  E questo naturalmente complica la situazione: per esempio, mentre il contadino americano che dovesse avere dello shale gas nel proprio sottosuolo lascerebbe la propria attività per organizzarne la produzione, il contadino europeo non avrebbe certo voglia di fermare la propria attività per far sì che sia il governo a guadagnare dallo sfruttamento di risorse che risiedono nel proprio terreno.  “Il tema è complicato”, ha concluso Scaroni, “ma noi dobbiamo andare fino in fondo, cercare le soluzioni, perché altrimenti i problemi che ci derivano dal non disporre di questo gas sono troppo grandi per poterli sopportare”.  L’AD di Eni ha anche affrontato il tema delle possibili energie alternative, in termini di costo, allo shale gas. “Forse davanti a un problema così importante”, ha spiegato Scaroni, “anche le ubbie di noi europei intorno al nucleare dovrebbero essere riconsiderate, perché rinunciare a una fonte energetica competitiva come il nucleare riduce il nostro spazio di manovra per far fronte a questa situazione”. “Più a lungo termine”, ha poi concluso l’AD di Eni, “volendo sognare, io mi immagino che per i paesi tradizionalmente nostri fornitori di gas, che dispongono di gas in quantità illimitate, come per esempio la Russia, e con i quali abbiamo un rapporto di natura commerciale, si possa immaginare una politica del nostro continente che in qualche modo li includa nelle nostre strategie, fino ad arrivare al punto di potere immaginare un giorno in cui possano diventare il nostro Texas. Perché nella misura in cui  noi siamo preoccupati per la nostra competitività, allo stesso modo, per esempio, la Russia dovrebbe essere preoccupata di dove poter vendere le proprie risorse, il proprio gas, di fronte a clienti che progressivamente declinano”.

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